Perché ci si ammala?

Chi passa dalla malattia spesso si fa queste domande: 

  • Perché a me? 
  • Perché adesso? 
  • Dove ho sbagliato?
  • Cosa posso fare per guarire? 
  • Cosa devo capire dalla malattia?

Questo interrogarsi mi fa pensare che i tempi sono cambiati; che le persone sono più consapevoli che per guarire serve un cambiamento, una comprensione o un fare le cose in modo diverso. Se da un lato questo movimento dell’umanità verso l’auto esplorazione mi porta gioia, dall’altro mi atterrisce ogni dogma che vuole subito dare un’etichetta alla malattia e interpretarla usando nuovamente uno schema, una regola uguale per tutti, un modo nuovo per restringere l’umano. Nel mio personale percorso di vita sono stati pochissimi quelli che hanno rifiutato di etichettarmi o parzializzarmi; a loro sono infinitamente grata.

Vi dico subito che non so perché ci si ammala, in questo articolo non troverete soluzioni di nessun tipo; non c’è nessuna regola veramente adatta a ogni individuo che è, per sé stesso, unico e con una storia personale complessa. Ogni teoria che parzializza non ci dona la visione totale del perché ci ammaliamo; interrogativo che ha sempre una ragione nascosta nella nostra Anima.

Per sollevarvi ulteriormente voglio sottolineare che ho visto vegani convinti, gente in percorsi evolutivi infiniti, persone senza un minimo lavoro su di sé, vaccinati e non, sportivi attenti e ed ex galeotti-tossicodipendenti, giovani e vecchi, ammalarsi nello stesso identico modo. Ho incontrato persone guarire da sentenze di morte che mai si sono fatte la domanda: cosa devo capire? Sono guarite senza interrogarsi, mangiando lasagne, senza cambiare alimentazione ma, evidentemente, cambiando radicalmente internamente. Ricordo una donna; mi disse: “Dovevo morire quattro anni fa, eppure sono qui”, il suo obiettivo era vedere la nipotina nascere, poi di vederla andare alle elementari, è così via…lei vive; vive oltre ogni sentenza nefasta.

La malattia è un meraviglioso bagno di umiltà che cancella tutto quello che pensavate fosse verità e lo rimpiazza con imperfetta fatalità e totale incertezza, sembra folle ma è pura grazia!

Quello che ho notato, e che reputo il più grande insegnamento di sempre, è che molte persone durante il percorso hanno sentito esattamente cosa dovessero cambiare per stare bene. Ogni persona, in viaggio dentro la malattia, a un certo punto comprende il suo perché. A volte è una intuizione, altre è qualcosa di più preciso, in alcuni casi è vago da spiegare ma ben chiaro nel loro corpo e nell’anima. Alcuni guariscono, altri no, ma anche il fatto che se si capisce il “perché”, allora si vive e si guarisce, è un mito che andrebbe sfatato! Sono piuttosto stanca di vedere additato un malato con un: “Avrà fatto qualcosa che non va” o “Non ha fatto un buon lavoro su di sé” o “Vedi che qualcosa che non va ce l’ha altrimenti mica si ammalava”, per chi muore poi … lasciamo stare quello che viene detto… 

La vergogna che oggi viene gettata sui malati, in particolare oncologici, e l’onta che le teorie di ogni tipo gettano su chi non sta bene è qualcosa che disdegno e che mi fa rabbrividire. Se pensiamo che sempre più aumentano, anche in giovane età, malati oncologici e affetti da malattie auto-immuni, credo che sia davvero necessario un modo nuovo di guardare chi si ammala e una via “non patologica” per accompagnare chi sta male! (Non mi riferisco solo alla classe medica, anzi, idem nel mondo olistico).

Per mia esperienza esiste una sola via per comprendere il perché succede una cosa: la “rivelazione diretta”; solo la persona stessa ha in mano la possibilità di comprendere il suo perché che, a parità di malattia, sarà diverso per ognuno.

Lavorando con diversi pazienti oncologici, e avendo incontrati moltissimi nel mio personale percorso, vi posso dire che la rivelazione diretta è l’informazione più preziosa di tutte perché non viene da un guru (che personalmente considero un po’ sorpassati), da una teoria, da informazioni di seconda mano in genere. Cominciamo a capire che le risposte che cerchiamo sono in noi, il nostro compito è certamente quello di scavare a fondo, di interrogarsi, di aprirsi al cambiamento e alla gioia di vivere e di abbracciare la bellezza dell’esistenza in ogni sua forma (esperienza di malattia inclusa).

Provate a farvi queste domande invece:

  • Quando mi sono disconnesso/a dalla voglia di vivere?
  • Quando ho dimenticato/a di stare nella gioia e perché l’ho fatto? 
  • Per cosa voglio vivere e cosa mi dona gioia?
  • Cosa non mi sono perdonato/a?
  • Quale parte di me ha bisogno di essere vista?

Un mio cliente i giorni scorsi mi ha riferito di aver letto i quattro quesiti che uno sciamano fece a un malato: Quando hai smesso di cantare? Quando hai smesso di ballare? Quando hai smesso di essere incantato dalle storie? Quando hai smesso di trovare conforto nel territorio del silenzio? 

Io aggiungo che, a volte, la malattia arriva come iniziazione; ci sono vite per cui senza la malattia non arriverebbero alcune comprensioni importanti che permettono il compimento del mandato celeste. La malattia in quei casi è un veicolo, un’auto che permette a tutto di compiersi in modo preciso e veloce. La malattia non è una maledizione ma un aiuto, che arriva per permetterci quell’esperienza! La vita non vi odia, non preoccupatevi, siete amati!

Oggi, dopo un paio di anni, ho cominciato a pensarla come il chirurgo che mi ha operato e che stimo molto; mi dice spesso che non ci sono regole, che la malattia colpisce in modi impensabili e che bisogna amare la vita ed essere un po’ fatalisti.

Un grazie da parte mia a chi, VIP e sconosciuti, donne e uomini, vivi e morti, ha contribuito a cambiare la narrativa di malattia condividendo sui social, normalizzando, mostrando la vita e la passione che c’è insieme alla malattia. Nulla è separato! C’è la malattia ma c’è la vita, ci sono cure e calvizie ma c’è la sensualità e la sessualità, ci sono le mutilazioni ma anche la bellezza di ciò che rimane, la fatica delle terapie e la passione di continuare a fare ciò che amiamo, c’è dolore ma anche tantissime risate e gioia.

Il mio suggerimento è sicuramente quello di mangiare sano, non necessariamente vegano ma molto sano, evitare certamente alcol (so che è sociale ma va fatto), non fumare, avere un buon rapporto con le emozioni e, soprattutto, muoversi; nella vita, con il corpo, con l’Anima. 

Portatevi in giro e vivete, realizzate i vostri sogni, non rinunciate all’amore, non rinunciate alla bellezza, desiderate la vostra realizzazione come umani e perdonatevi gli errori commessi. Cominciate ad amarvi di più; altrimenti cosa rimanete qui a fare?

Con affetto e comprensione profonda. 

B

Il vero significato di Resilienza: quello corretto!

Sono molto dispiaciuta che questo termine, così prezioso, sia erroneamente usato e ancor peggio percepito. Se in studio parlo di resilienza vedo subito facce restie e contratte come volessero dire “Questo no, la resilienza proprio no; ho già resistito a sufficienza!”. 

Essere resilienti ed essere resistenti non sono la stessa cosa!!

Vediamo nel dettaglio come i social media veicolano, in modo errato o incompleto, il concetto di resilienza.

  • Punto 1: Tenere duro!

Quello che non ci uccide ci fortifica

F. Nietzsche

Ultimamente mi capita spesso di leggere post che parlano di resilienza come di “stringere i denti e andare avanti” o “subire tanto è così e non ci si fa nulla” ma questa non è resilienza e non è il suo significato psicobiologico. Pensare che resilienza significhi “tenere duro” ci mette solo in una nuova situazione in cui la nostra storia non è presa sul serio e non è vista, ci esorta a fare sempre di più, ci mantiene in un ciclo di sopravvivenza dannoso e sfinente. 

Certo, esiste anche il “tenere duro”, come temporanea strategia di coping impiegata per attraversare un periodo della vita particolarmente provante, ma non si può stare sempre in sopravvivenza o il nostro sistema nervoso e la nostra salute (mentale e fisica) ne soffrirebbero enormemente.

Le donne poi sono particolarmente orientate nel concepire la resilienza come un aumento di sforzo e di sopportazione, visto che con la fatica che già hanno impiegato la situazione non si è risolta e, dato il senso di impotenza che abbiamo e il nostro bisogno di risolvere l’altro, entriamo in un gioco al massacro da cui usciamo in burn out (nel migliore dei casi).

  • Punto 2: Il lato positivo.

Il mio fienile è bruciato; ora posso scorgere la luna”.

Mizuta Masahide poeta e samurai

Per altri essere resilienti significa vedere il lato positivo; nella cultura zen ad esempio. Questa visione mi piace di più di quella di Nietzsche ma ancora non è resilienza. Vedere il lato positivo, o alleggerire la situazione, può essere una strategia adattativa certo, ma migliore e più funzionale del “tanto è così, me la metto via”. Anche vedere il bicchiere mezzo pieno aiuta, eccome, ma ancora non è resilienza. Usare troppo il pensiero positivo rischia di farci entrare in negazione, ovvero ci porta in uno spazio dove noi per primi neghiamo la nostra storia e la nostra esperienza. Se usiamo gli occhiali rosa per tutto ciò che accade spesso non riusciamo più a vedere il nostro dolore e quello degli altri. Essere sempre negativi appesantisce sé stessi e gli altri e smorza tutti i movimenti verso l’entusiasmo e la fiducia, ma anche essere troppo positivi impedisce a noi stessi e agli altri di essere visti e compresi durante un momento di reale dolore e sconforto. L’equilibrio è sempre la via corretta si sa!

  • Punto 3: Cogliere il meglio dalla vita.

La vera natura della resilienza sta invece nel poter cogliere il meglio della vita e dare il meglio di noi, nonostante ciò che ci è accaduto e senza negare o minimizzare la nostra esperienza traumatica. Vediamo insieme cosa significa.

Resilienza è potersi espandere quando tutto nella vita ti chiede di restringerti.” Doris Rothbauer psicoterapeuta e insegnante Somatic Experiencing

Resilienza è l’abilità di ottenere risultati positivi (a livello emotivo, emozionale, sociale, spirituale) nonostante le avversità.” K. Kain MA and S. Terrell PsyD attivi nel campo ACE Adverse Childhood Experiences.

Quando impariamo a essere resilienti, impariamo ad abbracciare la bellezza del magnifico ampio spettro dell’umana esperienza.”   Jaeda Dewalt scrittrice

La sentite la pienezza e la vitalità che viene da queste affermazioni? Molto meglio di “tenere duro” vero?

Per contattare la nostra resilienza in modo sano ed efficace (punto 3) è importante avere un testimone empatico che ci offra regolazione e stabilità e che comprenda la nostra storia: che ci veda, ci creda e ci senta e che, allo stesso tempo, ci aiuti a lasciarcela alle spalle in modo integrato e adulto. Questo lavoro non si fa da soli!

Nutrire la resilienza è un compito costante; rifiutare di andare verso un modo più resiliente e adulto di stare nella vita, ci consegna solo a un’esistenza più dolorosa e priva di fiducia e gioia.

Nonostante ciò che ho passato voglio vivere la vita appieno e contattare la gioia.

Nonostante mi senta esclusa voglio provare ad avere relazioni nutrienti.

Non serve aspettare che nella vita tutto sia perfetto, che la gente sia “giusta”, che vada esattamente come dico io perché possa cominciare a vivere!

Quello che cerco di fare in studio è aiutare i miei clienti a passare da uno stato di sopravvivenza (punto 1) a uno di maggiore confidenza, salute, agency (intesa come capacità di vedere la propria parte nei fatti della vita senza sentirsi vittime), empowerment, diretto accesso alla resilienza come intesa nel punto 3. Se supportate la vostra capacità di resilienza otterrete:

  • Relazioni più adulte, mature, stabili.
  • Senso di efficacia e stabilità.
  • Maturerete capacità di auto regolazione e capacità adattative buone ed efficaci.
  • Troverete maggiormente sorgenti di fede, speranza, e tradizioni culturali efficaci per voi.
  • Imparerete a gestire il vostro stress senza attivare le vostre strutture adattative e difensive.
  • Passerete da uno stato di isolamento sociale e stanchezza a uno di apertura e connessione.
  • I problemi ci saranno ancora, alcuni almeno, ma il modo in cui li guarderete sarà diverso.

Non è un’esagerazione affermare che aiutare a uscire da un trauma evolutivo è life-changing non solo per questa generazione, ma per tutte le generazioni a venire.”

K. Kain MA and S. Terrell PsyD attivi nel campo ACE Adverse Childhood Experiences[1].

Buona lettura e buona giornata <3


[1] Libro consigliato: Nurturing Resilience – helping clients move forward from developmental trauma, an integrative somatic approach. (North Atlantic books ed.)

L’IMPORTANZA DI DEFINIRE I NOSTRI CONFINI

I confini sono la distanza alla quale posso amare te e me contemporaneamente.”

P. Hemphill

Quante volte vi siete sentite dire: “Devi imparare a dire no”?

In una cultura patriarcale basata sulla performance, dove fare di più e farlo meglio è indicatore di successo, dire no e riconoscere che qualcosa è troppo spesso è una scelta impossibile da compiere. Per le donne questo è ancora più vero; a loro è richiesto di essere performanti sia al lavoro, che a casa, nelle relazioni, con il partner e con i figli. Quasi sempre le persone, per assolvere a questo compito disarmante, decidono di disconnettersi dalle emozioni e dal loro corpo; meno sentono e più possono “passarsi sopra” senza provare auto-compassione, meno compassione provano per sé stessi, più sono funzionali e asserviti al sistema. Dico persone perché in questo articolo parlo al femminile ma anche il maschile si può riconoscere in quanto scritto. 

Ogni giorno decidiamo deliberatamente di metterci pressione per compiere ciò che è oggettivamente impossibile da portare a termine e poi, quando falliamo, cominciamo a rifiutarci e biasimarci per non essere state all’altezza. Questo tende ad essere un gioco al massacro!

Quante volte ti sei svuotata interiormente per dare ciò che era tuo agli altri?

Quante volte ti sei sentita sopraffatta?

Quante volte ti sei sentita sotto pressione, eccessivamente stanca o sempre in modalità sopravvivenza?

I confini sono le regole che creiamo per noi stesse in termini di tempo, energia e risorse. Definiscono ciò che siamo disposte e in grado di fare e ciò che non possiamo o non dovremmo fare. I confini possono essere fisici, emotivi, psicologici e possono cambiare nel tempo”.

Luc Berkeley

Quando impariamo a decidere cosa possiamo e non possiamo fare o dare cominciamo a stare erette sul sentiero giusto per la nostra realizzazione e siamo più in grado di:

  • Non sprecare tempo per soddisfare altri mancando di nutrire noi stesse,
  • Portare a termine scadenze, compiti, studi, sogni a cui teniamo senza esaurirci,
  • Gestire tempo e risorse in modo funzionale ed efficace,
  • Riuscire a prendere decisioni importanti (e impopolari) per ridurre eccessivi impegni o carichi di lavoro,
  • Avere una migliore consapevolezza di chi siamo e rendere più veloce e pulita la strada dell’Anima,
  • Avere una migliore autostima,
  • Avere valori più chiari e sentirci più integre,
  • Non essere manipolate o sminuite,
  • Non darci in modo eccessivo o a chi non merita,
  • Ammalarci meno,
  • Essere più precise e meno “sprecone” con la nostra cura, il nostro amore e tempo. Se sappiamo chiaramente quello che vogliamo lo sapranno meglio anche gli altri!

È molto importante capire che se non riusciamo a portare a termine i nostri compiti nel tempo che oggi abbiamo è piuttosto inutile aggiungere altri compiti! Proprio come si fa pulizia nei nostri armadi ai cambi di stagione è importante selezionare le cose e gli obiettivi che vogliamo portare avanti nella vita, le persone con cui vogliamo stare, i corsi che decidiamo di frequentare, i libri che scegliamo di leggere, lo sforzo che vogliamo compiere, ecc… 

I momenti dell’anno migliori per fare questo bilancio sono: Imbolc (dal 31 gennaio al 2 febbraio), il Solstizio d’ estate (dal 20 al 22 giugno) e quello d’inverno (dal 20 al 22 dicembre), se volete potete farlo anche a fine anno, anche quello è un momento di bilanci.

Secondo la dottoressa Saudra Dalton Smith è molto facile pensarsi senza limiti a vent’anni ma è con il tempo, e con l’aggiunta di compiti e pesi, che possiamo confondere quello che dobbiamo fare con le nostre reali capacità e non sentire quando è troppo!

Per quanto mi riguarda la menopausa è stata un toccasana; uno spartiacque per farmi comprendere dove e in che modo dovevo dirigere le mie energie per farle lavorare al meglio. È stato come avere un laser che potevo direzionare in modo affilato e funzionale invece che a vanvera. Secondo Dalton-Smith (creatrice del metodo 7 Types of rest Framework™) uno dei punti fondamentali per raggiungere i nostri obiettivi è il riposo, non il fare nulla, ma il riposo:

  • Riposo fisico; inteso come non solo dormire la quantità giusta di ore ma eseguire esercizi per il rilassamento e la flessibilità e riposarsi senza colpa.
  • Riposo mentale; coltivare ciò che aiuta a rilassare la mente e il suo chiacchiericcio.
  • Riposo emotivo; saper accedere alla gioia, saper chiedere aiuto e conforto.
  • Riposo sociale; coltivare relazioni nutrienti in cui ci si sente viste e sostenute e anche leggere.
  • Riposo sensoriale; ripararsi periodicamente dal rumore del mondo.
  • Riposo creativo; permettersi di fare pause dove la nostra creatività possa allargarsi e prendere spazio.
  • Riposo spirituale; inserire una filosofia di vita che permetta di coltivare la parte spirituale in noi in ogni modo che ci piace e conosciamo (meditazione, preghiera, ritualità, natura, ecc…).
  • Io aggiungerei un punto otto: non cucinare, pulire, ecc… a pause alterne.

Dalton-Smith definisce il burnout come essere spesso stanche, non soddisfatte della vita e della carriera e spingersi per fare sempre al proprio massimo. La dottoressa afferma inoltre che, di questo passo, la depressione sarà la malattia del secolo, più dilagante dell’infarto!

Come fare a stare nei propri confini? Eseguire il lavoro interiore di comprendere i nostri NO.

Connettersi internamente, in meditazione o con i vostri metodi, e sentire quando per noi è no, è troppo o c’è troppo sforzo rispetto al ritorno. Quando avete fatto il lavoro interiore conservate la sensazione di confine chiaro per voi alcuni giorni senza farne parola. Una volta consolidato interiormente questo NO potete dire no anche a voce a chi vi chiede di più. Non serve giustificare il vostro no; Dalton-Smith sostiene, a ragione, che il NO è una frase compiuta e finita! Allo stesso modo non serve sperare nella fine del mondo per potersi togliere da quell’impegno a cui non si vuole andare. Allenate i vostri no e riposate in modo efficace!

Potete trovare molte info al riguardo sul sito della dottoressa o nei suoi Atlanta Ted Talk.

Buona lettura e buoni confini a tutti!

IMBOLC

Secondo l’antica ruota dell’anno il periodo del Solstizio d’Inverno (Yule) termina con l’arrivo di Imbolc (31 gennaio- 2 febbraio, Candelora per i cristiani).

È importante celebrare questa festività attraverso il rituale che potete trovare nel mio libro “Il potere della cerchia” edito OM edizioni, a cui vi rimando. In questo articolo voglio darvi alcune informazioni in più sui giorni di Imbolc; sul suo significato sia storico che psicologico.

Toni Wolff, prima paziente poi collega di C.G. Jung, nel suo lavoro “Structural forms of the feminine psyche” intuisce che la donna ha in sé quattro principali archetipi: la Madre, l’Amazzone, l’Amante e la Medial Woman. La sua idea innovativa fu presentata a Zurigo nel 1934 e meglio sviluppata nel 1948 eppure, in molti l’hanno accusata di aver copiato l’idea da un seminario di Jung del 1927.  La sua biografia dimostra, in modo molto efficace, che l’idea fu solamente sua e di nessun altro! Andrò più in dettaglio su questi archetipi nel prossimo articolo che pubblicherò a fine mese, ora lasciatemi spiegare come per me Toni si collega a Imbolc

Tra tutti gli archetipi la Medial Woman è quella parte di noi che “sa perché sa” e che, come dice Clarissa Pinkola Estès, è tra il giorno e la notte, tra ciò che si vede e il nascosto. L’intuito, la capacità di rinnovarsi, la capacità di essere unica e trina (e quadrupla anche) permette alla Medial Woman in ognuna di noi di poter parlare per la nostra anima, portare avanti i propri desideri del cuore, connettersi a sé stessa ma anche al mondo perché la principale caratteristica della Medial Woman è quella di essere del mondo (mondana) e dello spirito (mediale). Questa caratteristica unica è rappresentata da tutte le Dee dette della soglia ovvero le Dee che, anticamente, collegavano il regno dei morti a quello dei vivi; accompagnavano i morti nell’aldilà e, allo stesso modo, aiutavano i bambini a venire in questo mondo. Laima la bianca, Morrigan, Artemide, Diana e naturalmente l’irlandese Brigit

Nei giorni di Imbolc in Irlanda si festeggia, ancora oggi, la Dea Brigit la quale è considerata madre, levatrice, guaritrice e portatrice di fortuna e protezione. Il fiore a lei collegato è il tarassaco che si pensava facesse bene agli agnellini appena nati e li facesse crescere forti.

Nei giorni di Imbolc era usanza sfornare dolci e pane, costruire piccole croci in giunco o paglia (la croce di Brigit appunto) come simbolo del legame della Dea con i quattro elementi e con i quattro archetipi della donna. Si usava collegare a Brigit anche un ciottolo, una conchiglia, un fiore (che voi potrete mettere sul vostro altare in questi giorni).

Brigit, in veste di Dea della soglia, è protettrice dell’acqua (collegata a pozzi e fontane sacre e miracolose da ricondurre ad un successivo culto della Vergine Maria). Una usanza sempre irlandese è quella di lasciare lembi dei propri abiti o nastri oppure pezzi di grembiuli da lavoro in natura in dono a Brigit con la doppia funzione di ex voto alla Dea/Santa e anche con effetto apotropaico; lasciare un lembo di abito significa alleggerirsi dei pesi dell’anima e rinascere a nuovo.

Al mattino del 1° febbraio il pezzo di tessuto veniva riportato in casa, ritagliato in piccoli pezzi e suddiviso tra tutti gli abitanti come porta fortuna da conservare e portare con sé. La Santa veniva allora invocata per ben tre volte a protezione di casa e abitanti.

Si narra che la Dea Brigit fosse nata all’alba, sulla soglia tra regno dei vivi e dei defunti, alla sua venuta al mondo fu marchiata in fronte con un segno di fiamma rosso simbolo di vitalità, sangue che scorre nelle vene e forza creatrice. Mi chiedo che la Rowling abbia preso da qui l’ispirazione per la cicatrice di Harry Potter, chissà!

Simbolicamente i giorni di Imbolc sono una nostra nuova rinascita, una possibilità di rinnovarci ma anche di attingere alla benedizione e alla vitalità che Brigit porta nelle nostre case e ai nostri cari. È una celebrazione della nostra natura quadruplice, del contatto che noi donne abbiamo con la natura (rappresentata dai quattro elementi) e con le varie parti di noi.

Successivamente Brigida fu fatta santa o meglio la Dea Brigit è stata integrata nella Santa Brigida d’Irlanda che si festeggia il 1° febbraio appunto e che è la Santa più venerata in Irlanda insieme a S. Patrizio. La festività di Candelora (2 febbraio), che “stranamente” coincide con Imbolc, simboleggiava inizialmente la festa della “Purificazione della Vergine Maria” poi diventata la festa della presentazione di Gesù al tempio. 

Nella contea di Louth e di Kildare la Santa ha molti devoti ancora oggi e, guarda caso, sono le aree più dense di cerchi di pietre e tombe megalitiche. È in questa zona che potete vedere la famosa pietra di Brigit e la cattedrale dedicata alla Santa di Kildare.

Fonti: 

Il linguaggio della Dea di M. Gimbutas

The living Goddesses di M. Gimbutas

Toni Wolff’ structural forms of the feminine psyche di P. Vermeesch PhD

Pozzo di Santa Brigida in Irlanda, foto presa dal web.

LUCCA – ITALIA

visita di un giorno estendibile ad un fine settimana

“La frase Solvitur ambulando; si risolve camminando era parte integrante degli insegnamenti tratti dal labirinto… Era una preghiera itinerante, una danza di meditazione che portava la mente, il corpo e lo spirito insieme in una consapevolezza particolarmente potente. Era attraverso il labirinto che Salomone aveva guadagnato la sua leggendaria saggezza.” 

K. McGowan

Quando lessi “Il libro dell’amore” di Kathleen McGowan mi innamorai di Matilde di Canossa. La duchessa fu una donna impavida, forte, disposta a tutto per mantenere potere e territori. Non sono una fan del patriarcato, nemmeno quando questo risiede in una donna, non nascondo che non mi piace il modo in cui Matilde, oramai quarantatreenne, mandò la sua armata a “prelevare” il Duca di Baviera (che allora aveva solo diciassette anni) per portalo a corte, sposarlo e consolidare così le alleanze contro Enrico IV. Si racconta che Matilde aggredì il suo sposo a calci e sputi quando lui la respinse per ben due volte nel letto coniugale. Diciamo che, a ruoli invertiti, la faccenda sarebbe rapimento e tentato stupro.

Pur non approvando la sete di potere di Matilde la stimo infinitamente; in tempi assai ostili alle donne non ha mai visto la sua condizione come limitante o inferiore. Non ha mai dubitato di poter portare avanti il ducato. È stata donna di grandi passioni e ha amato due Papi: Gregorio VII e Urbano II, li ha ospitati nel suo castello per lunghi periodi ignorando il buoncostume dell’epoca. Ha fatto quasi sempre quello che voleva ed è arrivata dove voleva, è una delle tre donne sepolte in S. Pietro (insieme a Cristina di Svezia, Carlotta di Lusignano e Maria Clementina Sobieska) e considerate illuminate. Le riconosco il merito di aver contribuito alla parità di genere e al rispetto per un femminile potente, forte, capace di regnare e, soprattutto, in grado di conservare una spiritualità e un sentiero interiore profondo e ricco. Tra tutte le donne della storia italiana lei è senza dubbio la mia preferita.

La McGowan ipotizza che Matilde e Gregorio VII fossero seguaci di Maria Maddalena e sostenitori dell’amore sacro esattamente come il Re Salomone e la Regina di Saba, cosa molto verosimile. Sono attribuiti a Matilde la costruzione del ponte di Maria Maddalena detto ponte del Diavolo in provincia di Lucca e dell’abazia di Orval in Vallona (Lussemburgo). Secondo la leggenda Matilde perse l’anello nuziale in un fiume vicino all’attuale abazia. Una trota le riportò la fede facendola esclamare dallo stupore: “Questa è davvero una valle d’Oro”. In quel punto esatto sorse Orval, che significa proprio Valle d’oro.

Inizialmente si pensava che la contessa fosse nata a Lucca, in realtà Matilde nacque a Mantova nel 1046 e morì in provincia di Reggio Emilia nel 1115. Fu contessa e Gran contessa di Mantova, Spoleto, Margravia di Toscana, contessa consorte della bassa Lorena, di Verdun e della Baviera. Il suo simbolo è il meraviglioso fiore di melograno portatore di saggezza e reggenza.

Vi indico a seguito un’ iniziativa della regione Emilia-Romagna che è dedicata alle grandi donne del passato; “I castelli delle donne”. Un itinerario proposto in auto gestione per fare conoscere le donne del nostro Medio Evo tra le altre: Matilde di Canossa, Caterina Sforza, Beatrice di Lorena, Bianca Pellegrini, Maria Luigia d’Austria, Maria Bertolani del Rio, Barbara Sanseverino. (Potete trovare tutte le informazioni nell’apposito sito).

Torniamo alla nostra Lucca. Visitare questa città significa entrare in contatto con una simbologia antica e strettamente legata al femminile e al sacro. Vi indico le principali tappe per un itinerario di un giorno. Le informazioni sono informazioni di tipo energetico e simbolico, trovate ogni informazione storica su altri siti e sulle guide classiche della città, il mio messaggio vuole essere un modo diverso di fare turismo che punta alla parte energetica e spirituale del luogo.

San Martino (Duomo): Prima di entrare vi chiedo di soffermarvi davanti alla colonna di destra nel porticato dove è rappresentato il labirinto di Lucca. L’iscrizione riferisce: « Hic quem Creticus edit Daedalus est laberinthus de quo nullus vadere quivit qui fuit intus ni Theseus gratis Ariane stamine jutus », trad. “Questo è il labirinto costruito dal cretese Dedalo di cui nessuno è mai riuscito a trovare l’uscita se non Teseo, grazie al filo di Arianna.” Si racconta che i condannati a morte venissero portati davanti al labirinto e risparmiati se, con il dito, riuscivano a indicarne l’uscita. Il labirinto è da sempre un simbolo di vicinanza a Dio e di ritorno alla fede ma, soprattutto, è un simbolo di connessione con la cultura della Dea. 

Il Labirinto è spesso associato all’ascia bipenne (Labrys) da cui si pensa prenda il nome (Labirinto -palazzo delle Labrys). L’ascia bipenne a sua volta è associata alle divinità femminili minoiche e della cultura della Dea. Nel palazzo di Cnosso, a Creta, furono ritrovate diverse asce bipenne e diverse rappresentazioni di labirinti. Spirali e labirinti rappresentano l’acqua e la vita eterna, il ricongiungimento alla forza vitale e, nella cultura della Dea, venivano disegnati su piatti, brocche, o incisi in luoghi di culto. Tra i Celti la forma del labirinto e della spirale sono spesso incise in gioielli, tombe a tumulo (come a Newgrange), spille, anelli, piatti e vasi.  Tra la simbologia associata a Maria Maddalena e al suo culto ritroviamo il labirinto, appunto, rappresentato con nove cerchi disegnati intorno a una sfera centrale. Marija Gimbutas nel suo “Il linguaggio della Dea” ci illustra come le forme di spirale e labirinto fossero sacri e connessi alla vita e alla Grande Madre datrice di vita perché il labirinto è la forma che acquisisce il cordone ombelicale nel corpo della madre gestante.

Camminare con passo sicuro verso il centro del labirinto, mantenendo il proprio sentiero e la propria centratura nonostante le varie deviazioni, è indicatore di vera Fede; anche quando sembra che tutto sia confuso e che la strada sia lunga e con molte curve ci si deve concentrare sul fine ultimo e sull’arrivare al centro, visto come rappresentazione di Dio o Dea, ma anche del nostro centro e della nostra visione della vita. 

Pratica:

Ritualizzate la visita in questo luogo sacro; immaginatevi mentre camminate il vostro sentiero, quello che vi porta nella vita che davvero desiderate e volete tralasciando perdite di tempo e distrazioni inutili. Il labirinto vi viene in aiuto quando è tempo di fare un grande cambiamento e cominciare a usare l’energia per voi e non per altri. Mentre sei in questo luogo prova a chiederti se c’è qualcosa nella tua vita che è tempo di tralasciare, cosa va eliminato? Come camminare in modo sempre più preciso nella vita che voglio?

Entrando nella chiesa sentirete una particolare energia attiva nella zona vicina al tempietto che ospita il Volto del Santo. Il Volto è un crocefisso ligneo, con il volto perfettamente sovrapponibile alla sacra Sindone, che porta con sé una potente leggenda. Si pensa che questo crocefisso non sia stato scolpito da mano umana; nel corso dei secoli è stato oggetto di miracoli tanto da far crescere la moda di una quantità di crocifissi lignei famosi e miracolosi in tutta Europa. La cosa singolare è che attualmente il Volto del Santo è stato smontato e posizionato in una cripta per il restauro eppure, avvicinandosi al tempio dove viene solitamente conservato, si sente un’energia forte e ben percepibile probabilmente dato anche dalle numerose preghiere recitate dai fedeli.

Singolare è anche il monumento funebre a Ilaria del Carretto. La donna, morta in età giovanile, viene raffigurata con il proprio cane e questo mi ha subito fatto pensare alle principesse egiziane sepolte con i propri animali o alle tombe dell’età della Dea dove spesso venivano trovate all’interno ossa di cane o di gatto. Nel paleolitico seppellire le donne potenti con i propri monili e poi costruirci sopra abitazioni o tempi era un modo di propiziarsi fortuna e protezione degli antenati (Gimbutas – The living goddess). Se ci pensate l’usanza costantiniana delle reliquie ha proprio questo scopo; la diocesi che possedeva maggiori reliquie era la più importante e quella con maggior fattore di protezione per il popolo.

Chiesa di San Michele in Foro: la chiesa è riconoscibile per la magnifica statua dell’Arcangelo che la sovrasta e per una delicata scultura della Madonna con bambino nell’angolo destro della facciata. Al suo interno sono raccolte opere di artisti illustri come i Della Robbia e Filippino Lippi, ma la cosa che risulta particolarmente intuibile è che quasi tutte le statue e i dipinti al suo interno sono femminili.

L’iconografia classica di S. Michele lo vede un guerriero alato con in mano una spada, con cui ci difende dal “male”, e con un piede calpesta il serpente o dragone simbolo del male sconfitto. Nella sua rappresentazione bizantina invece l’angelo tiene in mano un globo. Solo dal VIII sec. circa S. Michele è rappresentato anche in veste di psicopompo: angelo che accompagna le anime nel regno dei morti e le aiuta a trapassare. In questa ultima versione Michele è rappresentato con la spada e la bilancia con la quale soppesa le anime prima del loro viaggio nel regno dei defunti. Meno noto è il fatto che la sua figura è associata all’acqua e alla roccia (tutte le abazie o chiese dedicate al santo hanno vicino una fonte d’acqua considerata più o meno miracolosa come La Sacra di S. Michele in provincia di Torino e l’Abazia di Michaelstein in Sassonia, ecc.). Uno dei possibili motivi di questa associazione è l’antica associazione dell’acqua e dell’Orsa o della Grande Madre alle grotte custodi di vene di acqua sotterranea. Con l’avvento del cattolicesimo, all’ingresso o nei pressi delle grotte dove si pensava ci fosse il diavolo, veniva posta una statua di S. Michele protettore. Con lo stesso principio troverete alcune statue di S. Michele in percorsi mariani come, per esempio, lungo il sentiero che porta a Notre Dame-de-la-Garde a Marsiglia. 

Sono diversi i motivi di cui scriverò più avanti che mi fanno associare Michele alla Grande Madre, come suo sostituto alato, cattolico e maschile che ha rimpiazzato un femminile pagano; non a caso il santo viene spesso rappresentato con lunghi capelli e aspetto effemminato. 

Secondo la scrittrice americana new age Doreen Virtue, convertita al cattolicesimo nel 2017, l’arcangelo Michele ha la funzione di proteggerci ma anche di aiutarci a tagliare ogni nostra paura affinché, con la mente libera da paura e preoccupazione, possiamo meglio dedicarci alla missione della nostra vita. È con questo spirito che potete entrare a S. Michele, accendendo un lume e chiedendo che arrivi nella vostra vita come Grande Madre e vi aiuti a tagliare ciò che non serve, paure e preoccupazioni, per mandarvi nella vita con vigore ed entusiasmo, aderendo sempre più alle vostre più profonde passioni.

Nel Medio Evo il culto di Michele arcangelo si propagò in tutta Europa, anche a seguito di un’apparizione del Santo in Gargano. La linea di S. Michele viene oggi percorsa da fedeli di tutta Europa; si tratta di una ley lines(linea del terreno a forte intensità energetica) che parte dall’Irlanda e arriva in Terra Santa. Sono sette i monasteri che congiungono i punti che oggi sono diventati una nuova rotta di pellegrinaggio. Devo sottolineare che non esistono documenti scientifici o storici che certifichino l’esistenza delle ley lines, né esistono tracce della volontà di creare una linea di S. Michele eppure, per leggenda o per trasmissione orale, questa linea è assai venerata.

Chiesa di S. Frediano e tomba di Santa Zita: una delle Sante più esportate d’Europa è Santa Zita il cui corpo è custodito a S. Frediano in Lucca. Le sono attribuiti molti miracoli e la sua leggenda ha attraversato nazioni. La sua figura in veste di governante con il grembiule raccolto pieno di fiori o pane è rappresentata in varie chiese dalla Toscana al Veneto al Duomo di Milano.

Giro delle mura: non potete venire qui e perdervi il giro delle mure della città; se la giornata è bella certamente il giro vale in viaggio. Consiglio, se volete, di portarvi delle biciclette con cui muovervi lungo le mure in modo da vedere tutta la città in modo comodo. Se siete a piedi potete scegliere di fare solo una parte del tour, sarà sufficiente per farvi un’idea. Le mura sono visitabili anche all’interno.

Ponte del Diavolo o di Maria Maddalena: per visitare il ponte di Maria Maddalena, la cui costruzione è stata voluta da Matilde di Canossa, è necessario prendere l’auto e dirigersi verso Borgo a Mozzano, lo troverete è inconfondibile. Vale la pena attraversarlo e vedere il paesaggio dall’alto, potete anche attraversarlo desiderando di incontrare un compagno giusto per voi, chissà…

INFORMAZIONI PRATICHE

Ricordo che l’entrata di tutte le chiese a Lucca è a pagamento, controllare gli orari di apertura in anticipo. La visita al ponte è invece libera e gratuita.
 
Eventi: due sono gli eventi da non perdere o, a seconda dei gusti, da evitare. 
Lucca Comix– una bellissima festa per fumettisti, amanti dei manga e cosplayers di tutto il mondo. Si svolge solitamente nel ponte del primo novembre ogni anno.
Lucca Summer Festival – nel mese di luglio, ogni anno, molti artisti internazionali arrivano a suonare qui, vale la pena farci un salto.
 
Dove mangiare: il mio suggerimento è Soup in town in piazza S. Giusto un piccolo ristorante biologico e vegano del centro. Troverete piatti curati e cucinati con amore e sempre freschi. Vale uno stop anche la pasticceria Taddeucci in piazza S. Michele. Vi consiglio di comprare i pan buccellato, tipico di Lucca, che qui fanno anche in versione vegana.
Prendete un caffè nella piazza dell’anfiteatro e godetevi il passeggio.
 
Dove dormire: potete muovervi con l’auto verso Montecatini Terme o Bagni di Lucca per trasformare una gita turistica in week end romantico e rilassante alle Terme.

Il labirinto, S. Martino, particolare della pavimentazione, S. Michele, Madonna con bambino a S. Michele, piazza dell’anfiteatro, Soup in town, ponte della Maddalena.

EQUINOZIO D’AUTUNNO: PERCHE’ SCENDERE NELL’ADE?

(Post al femminile che può essere letto anche al maschile)

Siamo entrati nell’autunno, nel mio libro (Il potere della cerchia) spiego che questo è il momento dell’anno in cui noi, insieme a Persefone, scendiamo nell’Ade e vi restiamo fino a primavera. Nel mito di Persefone la sua discesa nell’Ade avviene attraverso un rapimento che Ade appunto, signore del regno di sotto, attua nei confronti di Persefone. Invaghitosi di questa la fa sprofondare in una crepa del terreno, e la tiene prigioniera per tutto l’inverno lasciando Demetra, Dea della Terrra e madre di Persefone, senza figlia per sei mesi. Nella mitologia questo rapimento coincide con la tristezza e la desolazione di Demetra che, per guarirsi da questo lutto, smette di fiorire e fa arrivare l’inverno. Così i greci spiegavano l’alternarsi delle stagioni in modo creativo e piuttosto patriarcale. 

Ma questo cosa significa in termini pratici?

Personalmente non credo che serva il rapimento da parte di un maschile per trovarci a fare i conti con parti profonde di noi, siamo capacissime da sole. Quindi cercherò di spiegare come e perché questo deve accadere!

Crescendo, ognuno di noi assorbe il fallimento ambientale della famiglia in cui cresce negando parti di sé; smettiamo di provare rabbia se questa non è ben accetta in famiglia, smettiamo di piangere perché diamo fastidio a papà, di portare i nostri bisogni perché tanto non vengono mai soddisfatti, smettiamo di avere fiducia che qualcuno faccia qualcosa per noi e facciamo da soli, ecc… Abdichiamo a parti fondamentali interne e vere che possediamo, per creare un falso sé che va nel mondo al posto nostro e finge di essere qualcuno migliore; più intelligente, più amorevole, più spirituale, mai triste, mai materiale, sempre disponibile, ecc…

Andare nel mondo sempre con un falso sé è costoso in termini di autenticità e di capacità di connettersi al proprio cuore. 

Ma come avviene la formazione di un sé non autentico?

Quando il fallimento ambientale accade, e i nostri genitori non sono in grado di accoglierci per intero, noi interiorizziamo questo fallimento come completamente nostro e lo internalizziamo come vergogna, decidiamo che noi siamo bimbi cattivi che fanno cose non amabili e cominciamo a creare una versione più amabile di noi. Per un bimbo non esiste il pensiero “I miei sono inadeguati” ma solo il pensiero “Io non sono amabile” e quindi farò di tutto per rendermi amabile. Costruirò un essere così “giusto” che, a quel punto, non potranno non amare. Continuare a migliorarsi mantiene nutrita la speranza che nel mondo, da qualche parte, ci sia amore e sia per noi. A quel punto le cose andranno bene, tutti saremo felici. (Molte volte da adulti ci affidiamo a guru o politici con il pensiero che “Lui è quello giusto, Lui salverà il mondo”, finalmente tutto poi andrà bene, saremo liberi, ecc….). Sappiamo che non andrà così vero?

Da bambini non potevamo fare diversamente ovvio, ma ora? Perché continuiamo a fare così?

Una volta imparato a funzionare con un falso sé, negare la propria agency, negare il proprio potere, tornare al sé autentico è molto difficile e spaventoso. 

Poi viene quel periodo dell’anno in cui, anche senza volere, arriva il pensiero di morte della stagione autunnale ed invernale, arriva la tristezza, le cose non risolte emergono e noi siamo costrette a guardarci dentro in un modo diverso e più autentico.

Ritornare ad andare dentro di noi, piuttosto che fuori, significa tornare alla nostra “Casa-Anima” in quel luogo in cui, anticamente, nessuna delle nostre parti era negata o scissa, tutto in noi era buono per la nostra natura e crescita. Nella fiaba “Pelle di foca, pelle d’anima” (Donne che corrono coi lupi) era un rimettersi la pelle selvaggia della foca e ritornare negli abissi del mare abbandonando, se necessario, anche un marito e un figlio. Per Persefone è scendere nel buio della Terra e starci fino a che buona parte sia stata integrata per poi riaffiorare e fiorire. Nel mito, Persefone torna alla Terra tutti gli anni, perché il lavoro interiore è fatto a più livelli, di più strati.

È molto importante avere il coraggio di scendere nella Terra o (nell’acqua profonda) e guardare queste parti negate e disconnesse, potere provare compassione e amore per la bambina che eravamo, e riportare ogni parte di noi a casa. Ritornare ad un sé intero invece che parziale ci permette di essere più in grado di: smettere di biasimare sé stessi o altri, smettere di giudicare sé stessi o altri, smettere di odiare sé stessi, sciogliere l’identificazione basata sulla vergogna che ci portiamo appresso, avere più capacità di ascolto delle nostre sensazioni, non sentirci più senza speranza o con destino avverso, mettere confini adeguati, avere relazioni migliori e anche una salute fisica migliore.

Aiutare a tornare “a casa” è il lavoro che ho scelto di fare.

Ma quando ho fatto il lavoro poi devo agire?

No! Avere accesso a più capacità e agire sono due processi differenti:

  1. Avere più capacità o agency: significa riconoscere, attraverso un percorso personale, che io ho un ruolo, che gioco una parte importante nelle relazioni e che la vita “non mi accade” ma io ci metto del mio. Questo è il processo interiore che accompagna anche la riscoperta di parti negate, l’integrazione di emozioni a volte scomode, l’uscita dalla vittima.
  2. Una volta che ho fatto questo processo di integrazione mi sento più forte, più autentica quindi, se voglio, posso agire di conseguenza ma il processo è già fatto. Es: se mi accorgo che nego sempre i miei bisogni in favore di altri posso esplorare la mia responsabilità nel non comunicare mai ciò che mi serve e, una volta integrata la parte di me “bisognosa” posso sentirmi più autentica (Agency). Poi, se voglio, comincio a portare i miei bisogni in relazione più spesso (che non significa faccio sempre ciò che voglio!).

Spero che questo scritto, che purtroppo è riduttivo rispetto a quanto avrei voluto scrivere, vi sia comunque utile per comprendere che ci sono processi che vanno fatti se si vuole la vita che ci piace.

Buon Autunno a tutti.

LOVESICKNESS- MAL D’AMORE

Ho notato che non parlo mai di mal d’amore nei miei post e articoli, non perché non sia un disagio diffuso ed estremamente importante, ma solo perché nella vita ho sofferto di più per altri traumi che per amore e così tendo a parlare di quelli. Ho sperimentato ampiamente, in passato, cosa significhi patire per amore e ne ricordo perfettamente ogni sfumatura. In studio ultimamente mi ritrovo spesso a parlare di mal d’amore, più spesso di quanto mi capitasse in passato. Ho deciso quindi di dedicare un articolo a questo argomento sperando di aiutare chi soffre e sente che “la vita ora non ha più senso”, “non sarò mai più felice”. Ovviamente non è così ma, in quei momenti, questo è quello che si pensa… che tutti abbiamo pensato almeno una volta. 

Spero che questo mio scritto possa alleggerire il dolore e farvi comprendere che c’è una sola relazione che non potete MAI perdere; quella con voi stessi.

Ho delle idee sulle relazioni affettive che ho maturato dopo anni di lavoro e di esperienze personali. Proverò a spiegare alcune di questi pensieri in breve. 

Ci sposiamo sempre per un motivo, ma solitamente questi motivi valgono solo come indicatori di deficit mi manca… e lui/lei mi riempie quella mancanza. Questo motivo non è un buon motivo per iniziare una relazione o sposarsi.

BAMBINI IN RELAZIONE

Se non ci siamo occupati dei nostri dolori e delle nostre ferite in modo adeguato, quando entriamo in relazione chiediamo all’altra persona di occuparsene al posto nostro. Per questo motivo spesso ci sposiamo o stiamo con qualcuno; una donna che sposa l’uomo che si occuperà della parte economica o pratica della coppia (soldi e lavoretti pratici in casa), un uomo che sposa una donna perché si occuperà del suo nutrimento e di quello dei futuri figli (cucinare, lavare, stirare), un uomo sposa una donna perché (agli occhi degli amici) è la donna perfetta, donne e uomini si sposano perché vogliono una famiglia e hanno paura della solitudine, ecc…

Per lo stesso motivo si tradisce; quando abbiamo bisogno di incontrare una nuova parte di noi tradiamo. Quello che vogliamo si poteva ottenere anche con il vecchio partner ma tradire e cominciare con il nuovo è spesso più facile. La propulsione che dona una nuova relazione è così forte che può essere equiparata alla guarigione da una brutta malattia, ci illudiamo quindi che questa volta è quella buona! In realtà sì e no, mi spiego; tutto è possibile anche nella vecchia relazione ma serve guardarsi molto bene dentro senza scuse e bugie, essere sé stessi nella verità, mettere confini, rischiare di ferire o deludere in modo grave l’altro e a volte i figli, abbandonare la comodità, rinunciare ad accordi taciti e a compromessi scomodi e mentre si fa questo accettare di non essere né capiti né approvati (spesso additati come squilibrati). Capirete che dire “Mi sono innamorat* di x e ti lascio” è più facile. La terapeuta tedesca Eva-Maria Zurhorst sostiene che:

Non esiste un compito più grande per un essere umano di quello di superare sempre e continuamente sé stess* e di incontrarsi ad un livello sempre più profondo. Il presupposto per riuscire a vivere veramente questo incontro con sé stessi è quello di incontrare davvero l’altra persona. Un incontro che con il tempo ci mostrerà che non abbiamo bisogno dell’esterno.”

Quello che consiglio io è farvi aiutare a comprendere che, ogni volta che si va in relazione, si attivano dinamiche antiche di attaccamento perciò: se da neonata ho rinunciato a qualcosa di fondamentale oggi mi sentirò sola, spaventata e impaurita se non ricevo quella stessa cosa dal mio partner. Se da adolescente ho sono stato un ragazzino umiliato e maltrattato dentro custodisco ancora quel ragazzino che, anche se il mio corpo è adulto, entra in una relazione proprio come allora. Tutto questo influenza la vita affettiva di oggi in cui chiederò protezione e salvezza al mio partner mentre sono io che devo farci qualcosa, non il mio partner. Cercate di guarire le vostre parti doloranti poi deciderete cosa fare con vostro marito o compagno… meglio lasciare? Si a volte è necessario ma a volte no. Comprenderlo è importante per la vostra relazione di oggi e per quelle future.

Ma come anticipare il mal d’amore? Oltre a guardar bene le vostre ferite vi elenco a seguito alcune riflessioni per evitarvi errori che tutti abbiamo fatto in passato.

FANTASIE VS REALTA’

Abbiamo molti modi per proteggerci dal dolore, dalla vergogna, dal rifiuto o dalle delusioni, uno di questi è fantasticare. Spesso la relazione che viviamo nella testa non è la stessa che esiste nella realtà. Ingigantiamo o sminuiamo fatti accaduti per proteggerci dal dolore o dal fatto che quella relazione, in cui abbiamo tanto investito, andrebbe terminata. Cugina delle fantasie è la brutta abitudine di dare importanza più alle parole, o ai messaggi carini, che ai fatti. Mi spiego: se qualcuno ci dice che non vede l’ora di vederci ma poi non è mai disponibile, gli amici vengono prima o il lavoro ha la priorità, quello che dice NON È la realtà, i fatti invece lo sono. Quindi il mio consiglio numero uno è abbandonare le fantasie e stare con i fatti. Questo vi aiuterà ad attrarre meno persone non disponibili, ad essere più oneste con voi stessi, ad abbandonare i luoghi dove non c’è nulla di buono per voi in favore a quelli dove c’è tanto di buono per voi.

So bene che ci costa caro essere onesti, fare e abbandonare le nostre fantasie ma so anche che alla lunga paga e ci rende più adulti e più felici. 

Molte delle modalità che usiamo in relazione possono spesso essere classificate come “disturbi dell’attaccamento” ovvero comportamenti disfunzionali che abbiamo appreso quando abbiamo imparato a stare in relazione cioè da molto piccoli, nella relazione primaria con i nostri genitori. Un professionista vi aiuterà a identificare il vostro schema ripetitivo e adattativo e a comprendere perché vi comportate sempre in un certo modo, o scegliete sempre un certo tipo di partner. Ricordate se tutti i/le partner che incontrate sono stronzi/e questi “tutti” hanno un unico elemento in comune VOI! Quindi l’unico modo per non inciampare più in partner non disponibili, fuggitivi, evitanti, ansiosi, violenti, non affettuosi, ecc… è lavorare per cambiare il vostro modo di stare in relazione.

Per riassumere le prime regole e le più importanti sono:

  1. Abbandonare ogni fantasia e stare con la realtà,
  2. Dare più importanza ai fatti che alle parole carine,
  3. Esplorare e comprendere i nostri schemi adattativi in relazione (sia amicale che affettiva) e capire perché davanti ad una certa modalità ci comportiamo sempre nello stesso modo.

VULNERABILITA’ E CONFINI

Affinché una relazione funzioni vanno stabiliti confini molto chiari, e questo va a braccetto con il parlare e portare alla luce le nostre vulnerabilità in modo serio però! Cosa intendo; ho conosciuto persone che, sapendo che la vulnerabilità è un punto cruciale nel saper stare in relazione, la fingono. Condividono la vulnerabilità solo dove, come e quando fa comodo loro e se ne stimano, così controllano nuovamente la relazione senza mettersi veramente in gioco. Ecco in questo post intendo la vera vulnerabilità, non quella recitata.

Stabilire confini significa dire quello che non mi sta bene o mi ferisce e quello che invece mi piace e, nelle relazioni amorose dove c’è un’intimità fisica, questo è fondamentale. 

Esempio: “Sto cercando una relazione di condivisione profonda e intima e non una storiella breve. Quando ti comporti così mi sento rifiutata. Vorrei una persona che avesse cura per me. Ho bisogno che dividiamo i lavori in casa perché sento che tutto sulle mie spalle è troppo per me, ecc…” La parte più importante di mostrare vulnerabilità e dare confini e farli rispettare! Non basta stabilire i nostri confini in relazione, serve che li facciamo rispettare con i fatti. Se chiedo una relazione esclusiva e il mio partner invece tradisce in modo seriale chiaramente la relazione va terminata. Vorrei anche dire che in relazione servono aspettative chiare. Mi spiego; so che in un mondo perfetto e illuminato le aspettative non sono etiche e fanno male ad entrambi i componenti della coppia ma, in un mondo in cui tutti veniamo da attaccamenti disfunzionali, se non ci aspettiamo nulla dal partner questo è quello che otterremo… nulla.

Per questo motivo è importante stabilire i confini e dirsi spesso come questi confini sono cambiati. All’inizio della relazione tutto va bene ma poi le cose mutano e magari ci aspettiamo una convivenza, dei figli, un progetto comune, un’esclusività, cura, sostegno, presenza, ecc… Non siamo tutti uguali e ognuno ha esigenze diverse ma queste vanno sempre comunicate e discusse in coppia. Una coppia sana è quella che si confronta, che non teme il conflitto e che non tace solo perché è più comodo o ha paura di perdere l’altro o di ferirlo. Il confronto adulto è fondamentale per il benessere proprio e della relazione.

Se rimandate il confronto e mantenete una relazione “nebulosa” per paura o pigrizia, questa confusione e non chiarezza occuperà molto spazio nella vostra testa e dentro la coppia. Prima o poi esploderete o coverete rancore o userete ripicche, questo non solo non ha senso se ci si ama, ma innesca una catena di dolore e ferite reciproche che sarà difficile recuperare.

Fate quello sforzo e parlate, se lo fate con il cuore nessuno sarà ferito.

VALORI CONDIVISI

Tutti chiediamo di essere amati e visti per quello che veramente siamo. Tutti vogliono amare ed essere amati nel modo più profondo ed autentico possibile. Eppure, nei primi appuntamenti, ci presentiamo, vestiamo, atteggiamo al meglio di noi o, in certi casi, come pensiamo che il nostro futuro partner ci voglia (quindi dissimuliamo qualcosa che non siamo). Piuttosto assurdo vero? Non tanto, è molto comune in realtà, io l’ho fatto in passato… voi no?

Penso sia fallimentare “pubblicizzarci” per ciò che non siamo. Portare subito i nostri valori in relazione è fondamentale per scoprire se la relazione potrà funzionare, al contrario potrebbe partire benissimo e, una volta che ci mostriamo, scoprire che abbiamo speso mesi ad investire in una relazione con una persona che non c’entra nulla con noi. Pensate se io avessi accettato di uscire con uno in fissa per lo sci d’altura, tutti i week end a sciare; io odio lo sci… una tortura!

Scherzi a parte, personalmente non potrei stare mai con chi non ha cura di persone e cose, non rispetta e ama gli animali, o non ha un animo buono e onesto. Non potrei stare con chi manipola, con chi non ama mio figlio, o anche solo con chi ha sogni tanto diversi dai miei; che progetto comune potremo costruire insieme? 

Dichiarare subito i propri valori è fondamentale in amore e anche in amicizia. 

Se esco con un* chef dovrò mettere in conto che passerò sol* serate, week end, festività e nottate. Mi sta bene? All’inizio ci diciamo tutti di si tanto poi le cose cambieranno, beh non cambiano, non lo fanno mai. Avere le idee chiare sui nostri valori è fondamentale in amore e nella vita. 

Che vita volete? Fatta di cose semplici, con relazioni profonde e un lavoro che amate, anche se non vi fa ricchi, o preferite una vita più movimentata fatta di cambiamenti, di un lavoro intenso e una vita piena ma con poco tempo per le relazioni? Ve lo siete mai chiesto e se si avete pensato di condividerlo con il vostro partner?

Se avete risposto voglio essere ricc* e avere successo ed essere felice vi siete chiesti se siete innamorati dell’idea finale senza prendere in considerazione che questo risultato si ottiene con sforzo, fatica, molte ore di lavoro, poco tempo in famiglia, tante rinunce e molte notti insonni? Siete disposti a fare la strada che serve per arrivare fino a lì e … il vostro partner?

Sappiamo tutti che non si può voler avere un bel corpo senza mangiare bene, fare moto e sacrifici, non ci si sveglia magri come non ci si sveglia ricchi. E voi che sacrificio siete disposti a fare? Stessa cosa vale per l’amore; sento spesso dire vorrei una relazione nutriente e profonda, ma siete disposti a lavorare per costruirla? A rischiare di soffrire, di dovervi mettere in discussione, rinunciare a qualche vostra abitudine per includere l’altro?

Pensateci…

MAL D’AMORE

Arriviamo al punto più importante. State soffrendo per amore e vi sembra che la vita sia vuota e non amerete più o non incontrerete più qualcuno di così speciale? Credetemi non è vero! 

Se qualcuno vi lascia non vi toglie la capacità di amare, di vivere, di realizzarvi nella vita, di avere un’altra relazione, di amare la vita. Vi toglie la sua presenza non la vostra vitalità. La famosa riparatrice di cuori tedesca Elena-Katharina Sohn suggerisce un programma per risollevarsi dopo una batosta amorosa. Il programma sostiene quello che tutti abbiamo applicato per anni senza aver letto il libro, tuttavia, è utile avere una sorta di schema da seguire e sapere che, piano piano, si torna alla vita e si smette di piangere. Ai punti indicati da Katharina ne ho aggiunti alcuni che ho visto essere efficaci (sia per esperienza personale che per pratica in studio):

  1. Mangiare, dormire in modo regolare e non annegare nell’alcol. Abbiamo provato tutti la chiusa allo stomaco che viene dopo una perdita. Lasciarsi deperire, non dormire, bere molto o intossicarsi con sostanze non ci riporta l’altro. In questa fase è importante potersi alimentare in modo corretto e, se non si ha fame, ingerire cibi sani calorici e proteici. Dormire e prendersi cura di sé, anche se non è facile, deve essere fatto! Trascurarsi può funzionare per qualche giorno ma non avere cura di sé per molte settimane/mesi significa compromettere gravemente la psiche, rischiare di non riuscire a recuperare né fisicamente né psicologicamente e restare bloccati in una fase di auto commiserazione e distruzione. Sforzatevi di curarvi. Se non riuscite dovete immediatamente consultare un professionista dell’aiuto o il vostro medico.
  2. Parlare con qualcuno di quanto accaduto, ma che sia qualcuno di qualità! Va bene un terapeuta/counsellor, o un’amica, l’importante è che siate compresi, visti, ascoltati e aiutati in modo corretto. Quando, dopo 7 mesi, ancora dite le stesse cose allora questa persona vi dovrà aiutare a comprendere che è il momento di muoversi piano piano fuori dalla zona di dolore confort e passare alla ripresa. Scegliete persone che non minimizzino e sappiano accogliervi nel dolore altrimenti vi sentirete ancora più desolati.
  3. Evitate ogni strategia di recupero. Se la persona dice che non vuole stare con voi probabilmente è vero! Farsi fantasie sul fatto che dice una cosa ma ne pensa un’altra è piuttosto inutile. Forse tornerete insieme o forse no, certamente non sarà ora! Lasciate tempo affinché tutto si depositi ed evitate umiliazioni, insistenze e l’incapacità di ricevere un no. Occupatevi di voi, fatevi aiutare da un professionista a rimettervi in sesto. Conservate la dignità; perdere un amore e perdere la dignità, alla lunga, hanno due pesi ben diversi e diverse ripercussioni sulla vostra autostima. 
  4. Tagliate ogni contatto social. Per quanto la curiosità di vedere se lui/lei soffre come soffri tu, o se si è giù messo con un nuovo partner sia infinita meglio non farsi del male gratuitamente. Proteggete il vostro cuore, almeno nella fase iniziale della rottura, non esponetevi costantemente a nuovi dolori. Chiedete agli amici comuni di non parlarvi del vostro ex, tutelatevi. 
  5. Lista salva dignità. Scrivete una lista dettagliata di cosa non andava bene in questa relazione e del perché non dovreste insistere nel’ accattonare amore. Scrivete poi una lista analoga su cosa volete da un amore come ad esempio: sentirsi rispettate, pensate con cura e amore, ecc… Tenete queste liste nel portafoglio e leggetele ogni volta che vi viene l’idea di scrivere al vostro ex partner per supplicarl* di tornare.
  6. La dott.ssa Sohn suggerisce di scrivere una lunga lettera/e-mail dove vi chiarite con il vostro ex. Anche per me scrivere può rivelarsi importante per fare il punto di dove siete, ma suggerisco di non condividerla (vedi punto 3). In realtà se scriverete questa mail lo farete con l’intento di recuperare la relazione e, forse, ne scriverete altre e ancora altre, sentirete che manca proprio quella cosa lì che non avete detto… entrate così in un gioco al massacro per entrambi! Consiglio di chiarire quando avviene la rottura e dire tutto quello che va detto, poi chiudere la comunicazione. Tenere aperto quel canale vi fornirebbe false speranze e inutili sofferenze.
  7. Fai qualcosa per la tua autostima. Quando perdiamo l’amore spesso mettiamo in discussione il nostro valore. Questo è sbagliato, ma si sa che accade e fa un sacco male! In questa fase è quindi indispensabile fare qualcosa che ci aiuti a risollevare il nostro valore. Può essere utile fare esercizi corporei mirati (pesi, corpo libero, yoga, meditazione somatica, esercizi di respiro, lavori di radicamento corporeo, pugilato o arti marziali per rafforzare braccia e spalle che sono collegate al cuore), riconnetterci al corpo, e alla nostra forza fisica, ci aiuta a sentirci meglio con noi stessi e a aderire meglio alla realtà. Molto importante è anche ristabilire un contatto; spesso la fisicità che esiste in relazione viene a meno improvvisamente, con la rottura del rapporto, e ci manca essere toccati o abbracciati. Regalarsi un massaggio delicato e amorevole da un* professionista preparato è un modo efficace per sentire che siamo ancora esseri corporei e sensuali e per nutrire la pelle che, in questi casi, ha sete di abbracci e affetto.
  8. Organizza i giorni di festa o i momenti potenzialmente più “vuoti”. Sappiamo tutti che i sabati e le domeniche o le feste possono essere i giorni dove la tristezza fa maggiormente capolino. Organizzatevi in anticipo per non passarli a letto a piangere. Passeggiate, andate in natura, vedete gli amici o, se non sapete cosa fare, andate a fare volontariato. A volte, dopo una rottura, ci si trova con tanto amore che non si sa dove mettere visto che l’altro non lo vuole più, darlo ad animali bisognosi o aiutare chi sta peggio di noi non è una brutta idea…
  9. Rendi la tua casa un nido. Se quella che si è rotta era una convivenza tutto in casa vi ricorderà l’amore perduto. Cercate di rinnovare la casa: ridipingete, spostate mobili, cambiate i piatti, comprate fiori nuovi ogni giorno per voi stessi, cambiate i tappeti o le tende, insomma cercate di rinnovare l’energia della casa e renderla un nido per voi. Quando attraversiamo un momento di sofferenza dobbiamo avere un luogo dove ci sentiamo sicuri e possiamo sentirci accolti. Il posto sicuro ci permette di riposare, riprenderci psicologicamente e fisicamente e riparare il nostro cuore dolorante (e il nostro sistema nervoso). Tornare in una casa in cui non state bene può rallentare il processo di riparazione del corpo e della mente.
  10. Appena vi sentite meglio riprendete una delle attività che vi piaceva tanto praticare e che non avete più praticato quando siete entrati in relazione. Back to life!
  11. Ultimo, ma più importante, assicuratevi di avere una vita ricca, nutriente e vitale anche senza relazione. Non è mai salutare puntare tutto sul rapporto affettivo, non lo è per voi e non lo è per il partner. Cercate di creare nuove relazioni dove non vi annullate per l’altro ma mantenete una vita soddisfacente e ricca, con o senza amore. Sembra un consiglio banale ma so bene che non è così e che, in relazioni lunghe, spesso ci si impigrisce e ci si accartoccia. Mantenetevi vitali, nutriti ed emotivamente sazi con attività che vi piacciono e vi danno felicità.

Spero che questo articolo possa avervi aiutato o almeno chiarito alcuni punti. Sappiate che anche i momenti più brutti finiscono e che la vita è un bene prezioso, non sprecatela a piangere!

Con tutta la mia comprensione e affetto…

Barbara

Libri suggeriti per la lettura, che hanno ispirato me e le mie riflessioni:

  • Liberati dal mal d’amore di Elena-Katharina Sohn 
  • L’amore non basta e L’arte di fare quel cazzo che vi pare di Mark Manson 
  • La coppia che funziona di Eva-Maria Zurhost
  • Attached (Insieme) di Amir Levine e Rachel Heller (il mio preferito in assoluto, quello che si intitolava “Dimmi come ami e ti dirò chi sei” a cui hanno cambiato il titolo… per fortuna!)
  • How to love or leave a dismissive partner di Jeb Kinnison (solo in inglese) 
  • Ansiouxly attached di Jessica Baum (solo in inglese). 

Libro: Il Potere della Cerchia

Il Potere della Cerchia

Manuale base per creare e condurre Cerchie al femminile

(Foto: Eleonora Tassani mentre disegna la copertina del libro.)

Autrice: Barbara Parigi

Ringraziamenti

Introduzione

1.    L’inevitabile conflitto

2.    L’eredità scritta nel corpo

3.    Il senso di appartenenza

4.    Benedetta dalla Luna

5.    Luna nuova: la fase riflessiva

6. Luna crescente: dinamicità e vitalità

7. Luna piena: espressione al top, portare a termine

8. Luna calante: premestruo e creatività

9. Luna e mesi: come celebrare e ritualizzare

10. Gli strumenti

11. Cominciare: risorse pratiche

Il Potere della Cerchia

«Quando una vive pienamente, così fanno anche gli altri.».

Clarissa Pinkola Estès, Storie di donne selvagge

Seguire i ritmi della Luna per concretizzare intenti, raggiungere obiettivi e ritornare al magico. Come cominciare, cosa fare, quali intenti promuovere, che strumenti usare quando ci si approccia al lavoro con il femminile?

Il libro risponde con chiarezza aiutando le donne a mantenere la connessione con il Sè e a sintonizzarsi con i cicli della Luna e del mestruo attraverso esercizi e rituali accessibili a tutte.

Un personale percorso di ritorno alla Casa-Anima. Il percorso suggerito si snoda nel corso di un anno solare, scandito dai cicli lunari e per ogni lunazione propone una riflessione seguita da esercizi per lavorare da sole, in piccoli gruppi o all’interno di una comunità spirituale o di una Cerchia. E’ utile come guida e rifermentò sia per chi desidera cominciare a condurre Cerchie al femminile, sia per chi vuole parteciparvi.

Copertina disegnata da Eleonora Tassani – Animatrama

Editing: Regina Moretto- Ariarosa

Se vuoi acquistare il libro collegati al sito della OM Edizioni attraverso il seguente link:

https://www.omedizioni.it/il-potere-della-cerchia.html

IL POTERE DELLA CERCHIA NEL MONDO…

Alcune lettrici hanno portato “Il potere della cerchia” in vacanza, o lo hanno fotografato nel luogo in cui vivono e mi hanno inviato le loro bellissime foto, eccole! Dal Kerala in India, a Venezia, Rimini, Milano, ecc…

Kerala, India- Annalisa
Assenzio Erboristeria Forlì (libro tra le spezie)- Silvia
Venezia Dorsoduro- Federica
Venezia Zattere: Io e Regina Moretto (editor del libro)

LA MIA FILOSOFIA DI COUNSELLING – Come lavoro in studio.

Credo in un approccio integrato che consideri la persona interamente e in modo inclusivo: psiche, corpo ma anche spiritualità e disegno dell’anima. Nella mia psicoterapia personale ho sperimentato che si può essere visti e ascoltati solo quanto siamo accolti nella nostra interezza e complessità, in tutte le nostre sfaccettature. Non siamo solo la nostra storia passata e i nostri traumi, non siamo solo fisiologia o biologia, solo sistema nervoso o solo albero genealogico ma siamo tutto! Ho fatto molti percorsi formativi in cui venivo «parzializzata» quindi considerata solo per il mio sistema nervoso, o la mia parte energetica, o per la mia storia e le tematiche di attaccamento, ecc. Noto che queste modalità, a lungo andare, non funzionano. Per questo motivo ho scelto di lavorare in modo diverso, inclusivo e ad ampio spettro creando un mio metodo.

Le priorità del mio lavoro sono: connessione e sintonia nella relazione. 

Ho notato che molte tematiche o strategie di adattamento si sciolgono o si riorganizzano quando, nella relazione di aiuto, si stabiliscono connessione e sintonia. Nella famiglia di origine spesso non siamo stati visti e accolti, abbiamo imparato a disconnetterci da nostre parti delicate e vulnerabili e da emozioni scomode. Ci siamo spesso sentiti sbagliati o fuori posto e questo sentimento viene portato anche nelle relazioni attuali, sul lavoro, nella comunicazione, nella coppia, nella vita in genere. 

Agevolare la connessione nella relazione di aiuto permette di sanare la connessione con le nostre parti perdute o maltrattate e, di conseguenza, migliora la relazione con noi stessi e con l’altro. Il metodo che utilizzo in studio aiuta a sviluppare auto compassione, autostima, amore per sé stessi e agency (capacità di stare con le nostre parti più adulte). 

Agevolare la sintonizzazione nella relazione di aiuta permette di recuperare la sintonia con i nostri bisogni profondi; comprendere ciò che vogliamo dalla vita, da un lavoro, da una relazione. Questo aiuterà a non essere più in corsa a soddisfare bisogni altrui dimenticandoci dei nostri, ma ci farà sentire persone più piene, soddisfatte, nutrite, sintonizzate con il flusso della vita.

Ho notato che quando queste parti vengono sostenute e viste con amore, la persona sviluppa più facilmente: autonomia, capacità di porre confini sani, dire no senza colpe o biasimi, sviluppa fiducia nell’altro e nella vita (abbandona più facilmente il controllo), è più capace di stare nella relazione con l’altro includendo sessualità, amore, intimità e gioia.

Perché scegliere me tra tanti counsellor?

Il mio metodo si è strutturato in anni di studi e di terapia personale che mi ha permesso di notare prima di tutto cosa funziona veramente e cosa sembra funzionare ma, in realtà, non costruisce e struttura a dovere la nostra parte adulta e capace. 

Nella mia pratica aiuto a costruire, mattone dopo mattone, la responsabilità personale, mantenendo la libertà e incentivando l’autonomia, aiuto a vedere il proprio coinvolgimento nelle storie per poterle cambiare e migliorare. 

A volte non porto troppa attenzione alla narrativa perché spesso è la strategia che abbiamo costruito che ci danneggia, non l’atteggiamento dell’altro o la ferita che abbiamo patito. Molto spesso quello che noi facciamo a noi stessi è la ferita maggiore da sanare. 

Metto molta attenzione nell’osservare insieme al cliente le strategie di auto-rifiuto (che portano al boicottarsi) e all’auto-compassione (con cui possiamo aiutarci e accoglierci). 

Tengo conto di ciò che si è fatto in percorsi precedenti o attuali.

Quando vieni in studio da me non devi «ricominciare a parlare della tua infanzia, ancora». Partiremo esplorando situazioni attuali. Si parlerà anche di relazioni primarie, certo, ma non si «ricomincia», si continua.

Preferisco non lasciare parlare a ruota libera ma impostare la seduta su un’intenzione precisa che normalmente chiamo contratto, questo porta a responsabilizzare il cliente e a non far fare il lavoro a me. Io non posso «risolvere» le vite altrui, posso però aiutare a stabilire un preciso intento e scoprire le strategie che ne impediscono la realizzazione. Posso dare gli strumenti per osservare come e perché si usa una strategia, e perché ci si boicotta, o si controlla.

Non spingo. Per esperienza so che spingere o creare aspettative in studio non è salutare per nessuno; siamo tutti cresciuti con tematiche di performance che non vanno nutrite. Insieme esploriamo, in modo accogliente e senza giudizio, ciò che c’è, per poter arrivare al conflitto di base che esiste in ognuno di noi e che, se non sciolto, ci impedisce di raggiungere tranquillità e serenità.

Cosa si ottiene con un lavoro costante?

  • essere meno soggetti ai “venti esterni”, in grado di poter fronteggiare la vita anche quando complicata e decisamente non perfetta;
  • ricevere una critica, affrontare una brusca situazione nella vita o fronteggiare uno scontro senza perdere fiducia in sé o sentirsi sopraffatti;
  • essere empatici ed inclusivi delle opinioni e delle diversità altrui senza credere che ciò che è giusto per noi lo sia per tutti;
  • prendere in considerazione la propria responsabilità nelle situazioni e fronteggiarla con competenza;
  • essere in grado di passare attraverso le difficoltà conservando gioia e voglia di vivere;
  • avere una buona autostima e conservarla anche quando le nostre parti goffe, maldestre, timide, poco colte, ecc.… si mostrano e ci boicottano;
  • aumentare la capacità di mettere limiti e confini, dire no senza colpa e vergogna, andare in modo più naturale verso la soddisfazione dei nostri bisogni e nel portarli nelle relazioni;
  • promuovere con maggior forza la nostra autonomia e indipendenza affettiva, economica e lavorativa;
  • aumentare vitalità, gioia, capacità di amare e fiducia; tutte capacità dell’essere che nascono con noi, qualità che, con la crescita, vengono condizionate e costrette;
  • aumentare la capacità di connessione, sintonia, comprendere le nostre sensazioni corporee in modo più profondo, comprendere «come funzioniamo»;
  • migliorare le relazioni e la qualità della vita in genere;
  • migliorare le funzioni vitali come sonno, alimentazione corretta e non compulsiva, cura di sé, slancio vitale, sensualità, gioia, passione, voglia di vivere.

OSTARA- Equinozio e la primavera dell’Anima.

Ci siamo: anche se non è ancora ufficialmente primavera viole e giunchi, nel mio giardino, sono in piena fioritura, tutto sta esplodendo al suo massimo… e noi?

Ostara poi Easter (e nel cattolicesimo Pasqua), sono retaggi profondi dell’antico culto di Iside-Ishtar-Inanna che, nonostante i numerosi tentativi di sostituzione con un Dio maschile, rimangono festività collegate all’essenza femminina che tutto contiene e molto sa.

Madre nostra che sei nei cieli” si dovrebbe proclamare a gran voce, sì perché Iside, Ishtar, Inanna, sono archetipicamente legate alla Dea ctonia e celeste allo stesso tempo, colei che dona la vita e la morte con ugual compassione, la generatrice del tutto da cui veniamo, sostituita abilmente con un Dio maschile e virile. Nel momento in cui il sacro (legato al corpo della donna) è divenuto divino (legato al maschile virile) tutto è mutato!

In un tempo storico in cui stiamo tornando indietro invece di fare progressi, vorrei entrare un pochino nella profondità del significato delle festività che celebriamo; come inno alla vita, alla libertà, alla creatività e autenticità del femminile ma non solo.

Nella cultura della Dea la capacità di navigare in acque profonde e di saper stare in superficie allo stesso tempo erano spesso collegate alle dee stagionali come Persefone che scende agli inferi durante la stagione invernale, lasciando la natura ferma e arida, e risale in superficie proprio il giorno dell’equinozio di Primavera, portando così fioritura e fertilità. L’interpretazione del mito di Demetra-Persefone che vorrei sottolineare oggi, è legata alla creatività.

Nel mito pre-acheico Persefone sente la chiamata dal mondo di sotto, mentre nel mito post-acheico è Ade, Dio degli inferi, a rapirla. In entrambi i casi la separazione tra Demetra e Persefone porta all’assenza di vitalità, alla depressione: tutto sfiorisce in superficie, non c’è più voglia di fare, di essere, la creatività e la spinta vitale sono state sottratte alla vita come a volte capita a molte di noi.

Lavoro da anni con le donne e le accompagno attraverso i loro inferni personali per poi vederle risorgere; avendo visitato più volte io stessa l’inferno mi è facile eppure, ogni volta, mi stupisco della capacità di rinascita e dell’importanza dell’elemento creativo intrapsichico della donna.

Ho visto donne esercitare la loro passione in segreto, senza un pubblico; portare avanti quella scintilla interiore per non morire, ma al riparo da sguardi esterni.

Altre volte ho visto donare al mondo l’arte e la passione individuale e questo ha permesso alla donna di fiorire, di portarsi la Primavera nell’Anima. A volte ho assistito al bisogno di riconoscimento esercitato attraverso un mostrarsi costante ma anche in questo caso, se consapevolizzato, è guarigione.

Nella mia personale discesa agli inferi e ritorno, la creatività è stata spesso salvifica e nutriente; anche se scrivevo testi che non avrebbero visto la luce, il fatto stesso di scrivere e di produrre qualcosa, mi permetteva di sentire la vita scorrere e di muovere le mie ossa. Ma cosa succede quando la creatività ci ha abbandonato ed è scesa, come Persefone, nel mondo di sotto?

Quando sentiamo la spinta a scrivere, dipingere, nutrire un progetto l’energia non ci abbandona mai; abbiamo un super potere che ci tiene sempre attive e vive. L’ondata arriva, trova la via e se ne va per poi tornare ancora. 

Quando l’ondata energetica creativa non torna, non c’è più fuoco o progettualità una parte di noi si spegne e, di fatto, siamo depresse o in burn out. Senza quella vitalità non possiamo continuare a fare quello che facciamo ogni giorno, senza quella scintilla precipitiamo nel sottosuolo! Non abbiamo più stimoli, nessun progetto per il futuro, tutto è piatto. Non abbiamo voglia di mangiare bene o fare movimento: più nulla importa davvero.

Se la spinta creativa continua a esserci, ma manca un pubblico che riceva quell’atto creativo, tutto implode. Anche senza un pubblico, a lungo andare, l’atto creativo perde il suo slancio e si affloscia. Si smette di creare per la tristezza di non vedere le nostre opere portate alla luce o anche per la fatica che serve per vederle portate nel mondo. Un lavoro o un progetto che non viene portato al mondo è come un figlio che viene abortito; tutto sembra più scuro e vuoto. 

A volte le donne hanno solo bisogno di qualcuno, un assistente magico, che porti le opere nel mondo e che faccia lo sforzo che loro, dopo aver creato, non riescono proprio a fare. Ed è questo il momento in cui tante di noi si fermano o si rallentano. Come se ne esce? Chi può essere il nostro assistente magico?

Nel mito di Demetra e Persefone, a un certo punto del suo vagare Demetra, depressa, sporca e sfiduciata per non aver ritrovato la figlia incontra Baubo, la Dea irriverente e panciuta.

Baubo immagine di wikipedia

Baubo è grottesca; parla attraverso la sua vagina, gli occhi sono capezzoli e la testa è al posto del tronco. Inizialmente Demetra non reagisce, non si muove dalla sua depressione ma, in un secondo momento, osserva Baubo e scoppia in una risata sonora che la rivitalizza; la riporta a ricordare che è una Dea.

È solo in quel momento che, rinvigorita e portata fuori dalla sua depressione, Demetra incontra Ecate che le fa la domanda più semplice di tutte: “Chi pensi che abbia preso tua figlia Persefone?”.

Ecco che Demetra escogita un piano per capire chi abbia rapito la figlia e come riportala a casa.

Tutto accade solo perché Demetra, ridendo e spostando l’attenzione, ha ricordato chi era!

E noi? Come possiamo uscire da un momento di stallo e di depressione creativa?

I miei suggerimenti sono:

  1. Distogliere lo sguardo- se si rimane fisse in ciò che non va, se si guarda solo quello che non funziona non se ne esce. Cominciamo a prenderci meno sul serio e uscire dalla nostra stessa pesantezza, incontriamo Baubo;
  2. Ricordare chi siamo- riconnettersi a sé stesse e ricordare perché siamo in questo mondo e cosa vogliamo portare;
  3. Dedicare un tempo quotidiano al progetto- S. King si forza a scrivere ogni giorno per otto ore, si mette davanti al computer e aspetta. Non è vero che è necessario trovare l’ispirazione ma è necessario fare spazio!
  4. Approcciarci con amore- quando ci occupiamo del nostro progetto in divenire è importante farlo con amore e piacere e mai con dovere, o quasi mai. L’atto creativo dovrebbe accadere come nutrimento, e non con sforzo, o diverrà un altro punto da smarcare nella nostra lista quotidiana di cose “da fare”;
  5. Farsi le giuste domande- chi mi può aiutare? A chi posso chiedere questo? Dove posso trovare questo materiale? Questo implica il fatto che DOVETE smetterla di lamentarvi e cominciare a trovare soluzioni creative!
  6. Ostinarsi- Il punto che mi piace di più, e su cui io faccio più fatica, è suggerito dalla mia amata Clarissa Pinkola Estés: “E’ essenziale, sebbene spesso doloroso, prendersi il tempo necessario, non aggirare i compiti difficili insiti nello sforzo per raggiungere la padronanza. Una vera vita creativa non arde in un modo soltanto.” CPE
  7. Fiorire- fosse ora, o tra una vita dovete fiorire! Se ingrassate, vi deprimete, vi adagiate in relazioni senza fuoco e nutrimento, vi lamentate è perché temporeggiate nel fiorire, e nel dedicare tempo a ciò che dovete fare ORA! Non avete opzioni DOVETE!
  8. Non disperdere energia- non parlate del vostro progetto in giro, contenete la vostra energia e proteggete il vostro pensiero creativo senza darlo in pasto a persone, o social o entrambe. Ri-imparare la riservatezza sarebbe cosa buona e giusta!

Nel mito il viaggio agli inferi non è solo cosa da donne, ma anche i loro consorti sono chiamati a compierlo. Anche gli uomini, per ragioni diverse che non tratto qui, sono chiamati dal mondo di sotto ed è molto importante che ascoltino la chiamata e che facciano il loro viaggio.

Nel ricordo antico della Dea generatrice a Ostara ritroviamo i simboli della Primavera: uovo e lepre sacra (poi diventata coniglio pasquale). 

Simbolo dell’uovo: l’immagine del tutto che deve ancora essere e che, per venire alla luce, deve essere covato. 

Simbolo della lepre: gli animali letargici avevano anticamente una funzione di psicopompo e collegavano il mondo dei vivi a quello dei morti. Si pensava infatti che, per tornare a primavera, gli animali avessero sconfitto la morte durante il letargo e fossero quindi dei ponti di connessione tra mondo “di sotto” e mondo “di sopra”.

Ritualità: trovate un modo per ritualizzare il viaggio nel mondo di sotto ma anche il ritorno al mondo di sopra. Dipingere con i vostri progetti le uova nel periodo pasquale può essere un ottimo modo per ritualizzare il ritorno della luce.

Nel mio personale mondo l’animale psicopompo è il gatto: io ho il gatto pasquale non la lepre! Non riesco a scrivere se Emily e Tati non sono con me o a me vicine. E voi? Che aiutante magico avete?

Fonti: mitologia fonti varie, Clarissa Pinkola Estés fonti varie, Il linguaggio della Dea di M. Gimbutas ed. Venexia, Oscure Madri Splendenti di L. Percovich ed. Venexia.

Testo © Barbara Parigi.

Ai sensi della legge legge 248/00 il presente materiale può essere utilizzato solo citando l’autrice e la fonte.

Emily la mia Baubo
Tati la mia Ecate