(Post al femminile che può essere letto anche al maschile)
Siamo entrati nell’autunno, nel mio libro (Il potere della cerchia) spiego che questo è il momento dell’anno in cui noi, insieme a Persefone, scendiamo nell’Ade e vi restiamo fino a primavera. Nel mito di Persefone la sua discesa nell’Ade avviene attraverso un rapimento che Ade appunto, signore del regno di sotto, attua nei confronti di Persefone. Invaghitosi di questa la fa sprofondare in una crepa del terreno, e la tiene prigioniera per tutto l’inverno lasciando Demetra, Dea della Terrra e madre di Persefone, senza figlia per sei mesi. Nella mitologia questo rapimento coincide con la tristezza e la desolazione di Demetra che, per guarirsi da questo lutto, smette di fiorire e fa arrivare l’inverno. Così i greci spiegavano l’alternarsi delle stagioni in modo creativo e piuttosto patriarcale.
Ma questo cosa significa in termini pratici?
Personalmente non credo che serva il rapimento da parte di un maschile per trovarci a fare i conti con parti profonde di noi, siamo capacissime da sole. Quindi cercherò di spiegare come e perché questo deve accadere!
Crescendo, ognuno di noi assorbe il fallimento ambientale della famiglia in cui cresce negando parti di sé; smettiamo di provare rabbia se questa non è ben accetta in famiglia, smettiamo di piangere perché diamo fastidio a papà, di portare i nostri bisogni perché tanto non vengono mai soddisfatti, smettiamo di avere fiducia che qualcuno faccia qualcosa per noi e facciamo da soli, ecc… Abdichiamo a parti fondamentali interne e vere che possediamo, per creare un falso sé che va nel mondo al posto nostro e finge di essere qualcuno migliore; più intelligente, più amorevole, più spirituale, mai triste, mai materiale, sempre disponibile, ecc…
Andare nel mondo sempre con un falso sé è costoso in termini di autenticità e di capacità di connettersi al proprio cuore.
Ma come avviene la formazione di un sé non autentico?
Quando il fallimento ambientale accade, e i nostri genitori non sono in grado di accoglierci per intero, noi interiorizziamo questo fallimento come completamente nostro e lo internalizziamo come vergogna, decidiamo che noi siamo bimbi cattivi che fanno cose non amabili e cominciamo a creare una versione più amabile di noi. Per un bimbo non esiste il pensiero “I miei sono inadeguati” ma solo il pensiero “Io non sono amabile” e quindi farò di tutto per rendermi amabile. Costruirò un essere così “giusto” che, a quel punto, non potranno non amare. Continuare a migliorarsi mantiene nutrita la speranza che nel mondo, da qualche parte, ci sia amore e sia per noi. A quel punto le cose andranno bene, tutti saremo felici. (Molte volte da adulti ci affidiamo a guru o politici con il pensiero che “Lui è quello giusto, Lui salverà il mondo”, finalmente tutto poi andrà bene, saremo liberi, ecc….). Sappiamo che non andrà così vero?
Da bambini non potevamo fare diversamente ovvio, ma ora? Perché continuiamo a fare così?
Una volta imparato a funzionare con un falso sé, negare la propria agency, negare il proprio potere, tornare al sé autentico è molto difficile e spaventoso.
Poi viene quel periodo dell’anno in cui, anche senza volere, arriva il pensiero di morte della stagione autunnale ed invernale, arriva la tristezza, le cose non risolte emergono e noi siamo costrette a guardarci dentro in un modo diverso e più autentico.
Ritornare ad andare dentro di noi, piuttosto che fuori, significa tornare alla nostra “Casa-Anima” in quel luogo in cui, anticamente, nessuna delle nostre parti era negata o scissa, tutto in noi era buono per la nostra natura e crescita. Nella fiaba “Pelle di foca, pelle d’anima” (Donne che corrono coi lupi) era un rimettersi la pelle selvaggia della foca e ritornare negli abissi del mare abbandonando, se necessario, anche un marito e un figlio. Per Persefone è scendere nel buio della Terra e starci fino a che buona parte sia stata integrata per poi riaffiorare e fiorire. Nel mito, Persefone torna alla Terra tutti gli anni, perché il lavoro interiore è fatto a più livelli, di più strati.
È molto importante avere il coraggio di scendere nella Terra o (nell’acqua profonda) e guardare queste parti negate e disconnesse, potere provare compassione e amore per la bambina che eravamo, e riportare ogni parte di noi a casa. Ritornare ad un sé intero invece che parziale ci permette di essere più in grado di: smettere di biasimare sé stessi o altri, smettere di giudicare sé stessi o altri, smettere di odiare sé stessi, sciogliere l’identificazione basata sulla vergogna che ci portiamo appresso, avere più capacità di ascolto delle nostre sensazioni, non sentirci più senza speranza o con destino avverso, mettere confini adeguati, avere relazioni migliori e anche una salute fisica migliore.
Aiutare a tornare “a casa” è il lavoro che ho scelto di fare.
Ma quando ho fatto il lavoro poi devo agire?
No! Avere accesso a più capacità e agire sono due processi differenti:
- Avere più capacità o agency: significa riconoscere, attraverso un percorso personale, che io ho un ruolo, che gioco una parte importante nelle relazioni e che la vita “non mi accade” ma io ci metto del mio. Questo è il processo interiore che accompagna anche la riscoperta di parti negate, l’integrazione di emozioni a volte scomode, l’uscita dalla vittima.
- Una volta che ho fatto questo processo di integrazione mi sento più forte, più autentica quindi, se voglio, posso agire di conseguenza ma il processo è già fatto. Es: se mi accorgo che nego sempre i miei bisogni in favore di altri posso esplorare la mia responsabilità nel non comunicare mai ciò che mi serve e, una volta integrata la parte di me “bisognosa” posso sentirmi più autentica (Agency). Poi, se voglio, comincio a portare i miei bisogni in relazione più spesso (che non significa faccio sempre ciò che voglio!).
Spero che questo scritto, che purtroppo è riduttivo rispetto a quanto avrei voluto scrivere, vi sia comunque utile per comprendere che ci sono processi che vanno fatti se si vuole la vita che ci piace.
Buon Autunno a tutti.
