
Diceva F.Nietzsche “Quello che non mi uccide mi fortifica”.
Questo non è solo inesatto (non ci si sente più forti dopo un evento traumatico anzi), ma aumenta l’idea comune masochistica in cui si cresce solo attraverso dolore e sofferenza.
Non ho mai incontrato nessuno che si sentisse più forte dopo un lutto improvviso, un trauma grave, un incidente stradale, ecc. La verità è che quello che ci rende forti si può riassumere in:
Riposo: dormire permette alla nostra parte saggia di guarire il corpo, la mente e l’anima dopo un periodo difficile. Il sonno ha un forte potere di guarigione e riassesta il nostro sistema nervoso. Se siamo stanchi o molto affaticati o molto tristi dormire ci permette di rigenerare corpo e anima.
Condivisione e ingaggio sociale: capisco che per molti il dolore sia meglio vissuto in solitudine, eppure condividere (quando e come vi sentite), stare con qualcuno che vi vede davvero, è con voi e il vostro stato di tristezza è una vera acqua benedetta. Ci sono situazioni in cui la solitudine aiuta ma, dopo un pò, ci fa sentire senza speranza e in gabbia. Molto meglio cercare qualcuno che possa vederci veramente nel nostro dolore e accoglierci.
Prendersi cura: curatevi con ogni mezzo che conoscete; comprate fiori, andate al mare o in natura, state con i vostri animali, fate tutto ciò che serve a voi per stare bene senza disconnettervi dalla realtà (quando possibile). Mangiate in modo sano e muovetevi come preferite ed è meglio per voi. Come diceva Clarissa Pinkola Estès: muovere il corpo spesso aiuta a muovere l’anima e le ossa della vita. A volte l’esercizio fisico, anche solo una camminata in natura, permette al nostro corpo di rigenerarsi e rimettersi in moto. Cercate anche di nutrirvi in modo adeguato con centrifugati e con molta acqua. Ci si fortifica prendendosi cura di sé stessi come spesso facciamo per gli altri.
Compassione: aiutatevi cercando di avere compassione per voi, per ciò che vi è successo o vi succede e per la strada lunga che avete percorso per arrivare fino a qui. Spesso la parte che è più difficile nella vita non è ciò che ci succede, ma quello che diciamo a noi stessi dopo un rifiuto, un trauma, un fatto accaduto. La parte che fa più male è come trattiamo noi stessi dopo ciò che ci accade. Cominciamo a usare parole d’amore per noi, questo fortifica!
Non abbandonarsi: cosa fare quando una fase brutta e depressiva ritorna?
Sarà capitato anche a voi di stare bene per un periodo poi accade un evento, a volte anche sciocco, e ci si vede ripiombare in solite dinamiche (a volte in fase depressiva o di sconforto).
Quando questo accade ci diciamo: “Ancora? Pensavo di averla risolta questa cosa!”.
Quello che facciamo subito dopo è spesso:
1. colpevolizzarci per “essere ancora lì”;
2. trovare il modo più veloce per “uscire dalla zona buia con sforzo e il prima possibile”.
Conosciamo tutti queste strategie, e sappiamo che nessuna di queste aiuta ad uscirne davvero! Perché?
Questi stati depressivi sono spesso regressivi; ci mettono in contatto con eventi della nostra vita, consci o inconsci, che al tempo ci hanno paralizzato, collassato e lasciato senza speranza o con un forte senso di impotenza. Noi siamo stati così intelligenti da creare una strategia di “uscita”, che un tempo ha funzionato e ci ha salvato, ma oggi?
Oggi la cosa più intelligente e sana che possiamo fare per noi è NON ABBANDONARCI.
Se ci sentiamo depressi e ci togliamo subito da questa depressione, ci stiamo abbandonando; stiamo dicendo a noi stessi “così non vado bene, usciamo subito con sforzo e sarò più giusta/o, più adeguata/o alla società”. Facendo questo ci trattiamo come gli altri ci hanno trattato allora: aggiustandoci e adeguandoci.
Cosa fare oggi? Quando siamo in fasi depressive restiamo con noi, smettiamo di adottare strategie che ci tolgono da lì, stiamoci e stiamo con noi e la nostra tristezza per un po’; sentiamo che essere visti e capiti da noi stessi ci aiuta a stare meglio piano piano, e a ritrovare forza e vitalità. Le cose giuste non sono quasi mai le cose più veloci e più semplici, ma questo lo sapete già…
Il mio compito nel lavoro in studio è proprio quello di fare spazio affinché le emozioni scomode e i nostri stati dell’essere possano essere accolti senza giudizio e con amorevolezza. Il solo fatto di creare uno spazio per l’accoglienza risolve molto e aiuta. Aiutarci e chiedere aiuto ci rende forti!