Sono molto dispiaciuta che questo termine, così prezioso, sia erroneamente usato e ancor peggio percepito. Se in studio parlo di resilienza vedo subito facce restie e contratte come volessero dire “Questo no, la resilienza proprio no; ho già resistito a sufficienza!”.
Essere resilienti ed essere resistenti non sono la stessa cosa!!
Vediamo nel dettaglio come i social media veicolano, in modo errato o incompleto, il concetto di resilienza.
- Punto 1: Tenere duro!
“Quello che non ci uccide ci fortifica”
F. Nietzsche
Ultimamente mi capita spesso di leggere post che parlano di resilienza come di “stringere i denti e andare avanti” o “subire tanto è così e non ci si fa nulla” ma questa non è resilienza e non è il suo significato psicobiologico. Pensare che resilienza significhi “tenere duro” ci mette solo in una nuova situazione in cui la nostra storia non è presa sul serio e non è vista, ci esorta a fare sempre di più, ci mantiene in un ciclo di sopravvivenza dannoso e sfinente.
Certo, esiste anche il “tenere duro”, come temporanea strategia di coping impiegata per attraversare un periodo della vita particolarmente provante, ma non si può stare sempre in sopravvivenza o il nostro sistema nervoso e la nostra salute (mentale e fisica) ne soffrirebbero enormemente.
Le donne poi sono particolarmente orientate nel concepire la resilienza come un aumento di sforzo e di sopportazione, visto che con la fatica che già hanno impiegato la situazione non si è risolta e, dato il senso di impotenza che abbiamo e il nostro bisogno di risolvere l’altro, entriamo in un gioco al massacro da cui usciamo in burn out (nel migliore dei casi).
- Punto 2: Il lato positivo.
“Il mio fienile è bruciato; ora posso scorgere la luna”.
Mizuta Masahide poeta e samurai
Per altri essere resilienti significa vedere il lato positivo; nella cultura zen ad esempio. Questa visione mi piace di più di quella di Nietzsche ma ancora non è resilienza. Vedere il lato positivo, o alleggerire la situazione, può essere una strategia adattativa certo, ma migliore e più funzionale del “tanto è così, me la metto via”. Anche vedere il bicchiere mezzo pieno aiuta, eccome, ma ancora non è resilienza. Usare troppo il pensiero positivo rischia di farci entrare in negazione, ovvero ci porta in uno spazio dove noi per primi neghiamo la nostra storia e la nostra esperienza. Se usiamo gli occhiali rosa per tutto ciò che accade spesso non riusciamo più a vedere il nostro dolore e quello degli altri. Essere sempre negativi appesantisce sé stessi e gli altri e smorza tutti i movimenti verso l’entusiasmo e la fiducia, ma anche essere troppo positivi impedisce a noi stessi e agli altri di essere visti e compresi durante un momento di reale dolore e sconforto. L’equilibrio è sempre la via corretta si sa!
- Punto 3: Cogliere il meglio dalla vita.
La vera natura della resilienza sta invece nel poter cogliere il meglio della vita e dare il meglio di noi, nonostante ciò che ci è accaduto e senza negare o minimizzare la nostra esperienza traumatica. Vediamo insieme cosa significa.
“Resilienza è potersi espandere quando tutto nella vita ti chiede di restringerti.” Doris Rothbauer psicoterapeuta e insegnante Somatic Experiencing
“Resilienza è l’abilità di ottenere risultati positivi (a livello emotivo, emozionale, sociale, spirituale) nonostante le avversità.” K. Kain MA and S. Terrell PsyD attivi nel campo ACE Adverse Childhood Experiences.
“Quando impariamo a essere resilienti, impariamo ad abbracciare la bellezza del magnifico ampio spettro dell’umana esperienza.” Jaeda Dewalt scrittrice
La sentite la pienezza e la vitalità che viene da queste affermazioni? Molto meglio di “tenere duro” vero?
Per contattare la nostra resilienza in modo sano ed efficace (punto 3) è importante avere un testimone empatico che ci offra regolazione e stabilità e che comprenda la nostra storia: che ci veda, ci creda e ci senta e che, allo stesso tempo, ci aiuti a lasciarcela alle spalle in modo integrato e adulto. Questo lavoro non si fa da soli!
Nutrire la resilienza è un compito costante; rifiutare di andare verso un modo più resiliente e adulto di stare nella vita, ci consegna solo a un’esistenza più dolorosa e priva di fiducia e gioia.
Nonostante ciò che ho passato voglio vivere la vita appieno e contattare la gioia.
Nonostante mi senta esclusa voglio provare ad avere relazioni nutrienti.
Non serve aspettare che nella vita tutto sia perfetto, che la gente sia “giusta”, che vada esattamente come dico io perché possa cominciare a vivere!
Quello che cerco di fare in studio è aiutare i miei clienti a passare da uno stato di sopravvivenza (punto 1) a uno di maggiore confidenza, salute, agency (intesa come capacità di vedere la propria parte nei fatti della vita senza sentirsi vittime), empowerment, diretto accesso alla resilienza come intesa nel punto 3. Se supportate la vostra capacità di resilienza otterrete:
- Relazioni più adulte, mature, stabili.
- Senso di efficacia e stabilità.
- Maturerete capacità di auto regolazione e capacità adattative buone ed efficaci.
- Troverete maggiormente sorgenti di fede, speranza, e tradizioni culturali efficaci per voi.
- Imparerete a gestire il vostro stress senza attivare le vostre strutture adattative e difensive.
- Passerete da uno stato di isolamento sociale e stanchezza a uno di apertura e connessione.
- I problemi ci saranno ancora, alcuni almeno, ma il modo in cui li guarderete sarà diverso.
“Non è un’esagerazione affermare che aiutare a uscire da un trauma evolutivo è life-changing non solo per questa generazione, ma per tutte le generazioni a venire.”
K. Kain MA and S. Terrell PsyD attivi nel campo ACE Adverse Childhood Experiences[1].
Buona lettura e buona giornata <3
[1] Libro consigliato: Nurturing Resilience – helping clients move forward from developmental trauma, an integrative somatic approach. (North Atlantic books ed.)
